Gita al Parco Nazionale D' Abruzzo
Le montagne calcaree d'origine mesozoica, disposte su due principali allineamenti, racchiudono al loro interno l’ampia vallata del Sangro, caratterizzata da numerose valli laterali e da un notevole sviluppo della copertura del bosco. Le temperature relativamente basse (valori medi intorno ai 10°C) determinano, grazie alla notevole quantità di piogge ed alla loro distribuzione nell’anno, un regime climatico in generale privo di periodi aridi, soprattutto nelle aree più interne, mentre alle quote inferiori e sui versanti occidentali sono più evidenti le influenze di tipo mediterraneo.
Al Parco vero e proprio, suddiviso in fasce di protezione crescente, che giungono sino alla Riserva Integrale, dove l’accesso è precluso all’uomo, si aggiungono oltre 60.000 ha di Zona di Protezione Esterna, sulla quale gravano vincoli di tutela più attenuati, e che comprende un ampio anello intorno all’area del Parco, sino a raggiungere il fondovalle del Fucino a nord, le Gole del Sagittario, il lago di Scanno e l’Altopiano delle Cinquemiglia ad est, la valle del Volturno a sud e la Valle del Liri ad ovest, scendendo in alcuni casi sino a quote di 4-500 m I boschi, i pascoli e le praterie sono per gran parte di proprietà comunale. I centri urbani sono piccoli, le strade asfaltate non superano in nessun caso i 1600 m d'altezza, la presenza e le attività umane sono limitate al fondovalle, gli impianti sciistici interessano solo aree relativamente piccole.
La presenza del Parco ha radicalmente rivoluzionato l’economia dell’area che, se in passato basata soprattutto sulla pastorizia e lo sfruttamento delle foreste, è oggi legata in modo decisivo al turismo, con un flusso stimato intorno ai 2 milioni di visitatori l’anno; l’Ente Parco possiede soltanto 400 ettari, ma ne ha circa 20000 in gestione tramite varie forme d'affitto ed indennizzo. Gli insediamenti turistici sono cresciuti, dopo lo sviluppo incontrollato degli anni ’60, in modo più compatibile con le finalità del Parco, avviando in quest'area il primo esperimento italiano di eco-sviluppo. La nascita del Parco risale al 1923 quando la Riserva di Caccia Reale, in conformità a un Regio Decreto, divenne il primo nucleo di questa grande area protetta.
Successivi ampliamenti hanno consentito di raggiungere gli attuali 44000 ettari. Tra questi vanno ricordati i più recenti: nel 1976 è stato annesso il Monte Marsicano, sottraendolo alla speculazione edilizia e allo sfruttamento sciistico e, nel 1990, la Catena delle Mainarde, area di gran valore per l’Orso e molte altre specie. Il territorio del Parco si estende a quote comprese tra i 900 ed i 2.250 m: come in tutte le aree montane esiste una tipica disposizione della vegetazione in fasce altitudinali, che comprendono un orizzonte submontano di boschi di cerro e roverella, ed uno montano di faggete e praterie d’altitudine.
A causa della prevalenza di quote al di sopra dei 1200 m, l’orizzonte submontano, peraltro largamente trasformato dalle attività umane, che hanno fatto scomparire i boschi sostituendoli con aree un tempo coltivate ed oggi per lo più adibite a prati e pascoli e progressivamente riconquistate dalla vegetazione spontanea, è scarsamente rappresentato nell’area, soprattutto nel fondovalle del Sangro, della Vallelonga ed in Molise.
Questo non significa che si tratti di aree prive di importanza: molto spesso queste zone sono dei veri e propri ponti naturali che congiungono territori boschivi montani e rendono possibile lo spostamento di specie importantissime, quali per esempio l’Orso, che richiedono spazi vastissimi e che proprio qui trovano importanti opportunità alimentari.
La ricchezza e la varietà di piante da frutto, cespugli, pascoli, prati, frutteti e boschi, favoriscono la presenza dell’Orso, che nell’Appennino occupa una limitata area con baricentro proprio nel Parco, dove certamente si è conservato il nucleo più stabile e consistente di questa specie, probabilmente in ripresa negli ultimi anni, dopo i numerosi casi di bracconaggio degli anni ’80.
Non mancano nell’ambito del Parco e delle sue immediate adiacenze specchi lacustri artificiali, che hanno ripristinato in qualche caso assetti geologici pregressi. Infatti, nel corso del Quaternario due laghi hanno occupato certamente l’alto bacino del Sangro: l’uno nella conca di Pescasseroli, l’altro nella piana, immediatamente a valle, che si estende tra le gole di Opi e quelle di Barrea. Quest’ultimo invaso è stato ricostituito artificialmente per finalità idroelettriche negli anni Trenta, e completato nel 1951, tra le pendici del colle Sant’Angelo, a nord, e dei monti Sterpi d’Alto e Boccanegra, a sud, su una superficie di circa 250 ha e con il cospicuo volume di 25 milioni di mc.
Pur aspramente criticato dagli ambientalisti del tempo, il lago è stato successivamente rivalutato come fattore naturalistico in quanto ben si colloca nello scenario dei prati alberati che lo cingono e delle retrostanti vette che lo dominano dall’alto; nel contempo costituisce un’importante area umida per l’avifauna sulla direttrice Tirreno-Adriatico.
Artificiali sono anche i laghi di Grotta Campanaro e della Montagna Spaccata, ma molto più piccoli di quello di Barrea: il primo è stato realizzato nei pressi di Picinisco in corrispondenza di una strettoia (val di Canneto) del fiume Melfa; il secondo con lo sbarramento del rio Torto, un affluente del Sangro, poco a monte dell’abitato di Alfedena, per deviarne le acque a beneficio degli impianti idroelettrici dell’alto Volturno.